A Quattro Castella, in via dei Mille, un cartello e una targa segnalano l’abitazione in cui una coppia di ebrei polacchi venne trattenuta in stato di internamento libero da settembre 1941 a novembre 1943. Questa è la loro storia. [1]
Il 4 settembre 1941 [2], il commissario di Quattro Castella ricevette dalla prefettura una missiva classificata come ≪urgentissima≫. L’oggetto era il seguente: ≪Cywiak Mossek Chaim di Cedala≫.
Il ministero degli Interni comunicava ≪il trasferimento del nominato dal campo di concentramento di Ferramonti in un Comune della provincia di Reggio Emilia, con foglio di via obbligatorio, con la moglie Felmann Etla (sic) [3] fu Mendel. […] Se indigente gli spetteranno 50 lire al mese, più 8 di diaria per vitto e supplemento di 4 lire alla moglie≫. Effettivamente, il 15 settembre la coppia giunse a Quattro Castella e venne sistemata ≪provvisoriamente presso l’esercente Montanari≫.
Ma chi erano Mossek e la cosiddetta Etla? Le informazioni più dettagliate su di loro sono estrapolate dalle rispettive dichiarazioni di soggiorno, compilate nel 1943. [4]
Feldmann Ełla (questa la grafia corretta del suo nome), di Mendel e Freidla Wisberg, nacque a Nowy Korczyn [5] il 12novembre 1910, era ebrea di nazionalità ex polacca, casalinga e coniugata con Moszek Chaim. Proveniente dal Belgio, con il marito Ciwiak Moszek Chaim, giunse con lui in Italia il 13 maggio 1938 per motivi di lavoro, con permesso a tempo indeterminato. Il suo passaporto venne rilasciato dal comitato della Repubblica polacca di Madrid con la matricola 91/34, serie 334758.
Moszek, di Gedala e Wisheneska Pessa, nacque invece a Varsavia il 14 gennaio 1889, anch’egli quindi ebreo di nazionalità ex polacca. A differenza di Ełla, il suo certificato d’dentità, n. 126, fu rilasciato dalla regia questura di Milano.
A questo punto, mi pare opportuno, appoggiandomi alla ricerca di Capogreco [6] , gettare un po’ di luce sulle vicende storiche che fecero giungere i coniugi ebrei polacchi a Quattro Castella.
Nel settembre 1939, la direzione generale di pubblica sicurezza previde che, nel caso di entrata in guerra dell’Italia, sarebbe stato necessario internare, oltre agli italiani “politicamente nocivi” per il regime, circa tremilaseicento stranieri presenti su suolo italiano, dei quali due terzi da avviare alle località scelte per attuare il regime di ≪internamento libero≫, una sorte destinata agli individui ritenuti non eccessivamente pericolosi.
Nei giorni immediatamente successivi all’entrata in guerra, scattarono quindi in tutto il Regno i rastrellamenti e gli arresti di stranieri e italiani “indegni”. Tra gli stranieri da imprigionare, ovviamente, furono inclusi anche gli ebrei di nazionalità non italiana, i quali, spesso in fuga dalla persecuzione nazista, restarono interdetti dalla mossa italiana, nel forte timore di essere riconsegnati alle autorità tedesche. Il capo della polizia emanò, proprio in quei giorni, ai prefetti una disposizione per rafforzare la vigilanza sugli ebrei; le leggi razziali del biennio precedente non prevedevano, infatti, disposizioni in merito all’internamento. In precedenza, l’Italia aveva piuttosto accordato il soggiorno a migliaia di loro, a patto che non fossero stati impegnati in attività politiche sediziose, anche dopo l’affermazione del terzo Reich. Solo con le leggi ≪a difesa della razza≫ del novembre 1938 la loro condizione giuridica subì un duro contraccolpo: tutti gli ebrei stranieri giunti in Italia dal 1919 dovevano abbandonare il Regno entro sei mesi, altrimenti sarebbero stati espulsi. Di fatto, ancora a marzo del 1939, ebrei in fuga continuarono ad affluire nel Regno piuttosto che a lasciarlo; il provvedimento rimase pertanto in vigore, benché inattuato.
Proprio nell’archivio prodotto dall’ufficio denunce israeliti del comune di Milano [7] , ho reperito anche le ≪Dichiarazioni di appartenenza alla razza ebraica ≫ presentate da Moszek ed Ełla il primo di marzo 1939. Per la prima volta mi sono cosi trovata davanti alla loro calligrafia e alle firme autografe: i funzionari italiani storpiarono spesso i loro nomi, nei documenti presenti nell’archivio castellese, non avendo dimestichezza con lettere appartenenti a un alfabeto in parte estraneo. Ciò che e forse più interessante in questi materiali milanesi è che essi rappresentano l’unico squarcio sulla loro vita “di prima”, prima del campo di internamento nisseno, prima di Quattro Castella.
Cywiak Moszek Chaim affermò di essere ≪commerciante […], celibe […], residente in Milano in piazzale Bacone 8, presso Pagliani≫. Egli era inoltre in attesa di un visto per la Cina, paese che in quegli anni accolse effettivamente molti ebrei in fuga dall’Europa orientale; l’Italia in questo contesto rappresentò un punto di passaggio strategico per questi fuggitivi. [8]Eppure Ełla Feldman non menzionò alcuna meta esotica, nella propria dichiarazione: la giovane donna nubile era in Italia ≪solo di passaggio, per turismo≫, con un ≪foglio di soggiorno rilasciato a Trieste il 14 maggio 1938≫. Alla voce professione si definì casalinga e affermò di essere residente nel capoluogo lombardo, allo stesso indirizzo di Moszek. Entrambi erano stati ≪solo notificati il 18 agosto 1938≫ in quel di Milano, nel palazzo già citato. Ironia della sorte, il luogo in cui i due ebrei vissero per parecchi mesi, sarebbe stato oggetto successivamente del primo bombardamento alleato sulla citta meneghina.
Ełla e Moszek, non ancora sposati, risultavano residenti lì ancora il 6 novembre 1939, visto che in quella data furono chiamati a comparire presso il Comune.
In una nota del 15 giugno 1940 il ministero Affari Esteri condivise con il dicastero dell’Interno la necessità di internare gli ebrei tedeschi e dei territori occupati dalle truppe del Fuhrer, così come prevedeva l’espulsione per gli apolidi o di altre nazionalità. Quello stesso giorno, il capo della polizia ordinò l’arresto degli gli ebrei ≪appartenenti a stati che fa[cevano] politica razziale≫ e degli apolidi tra i diciotto e i sessant’anni, poiché ≪elementi indesiderabili imbevuti di odio contro i regimi totalitari≫. Tra questi erano compresi anche gli ebrei ≪polacchi apolidi≫, come Ełla e Mossek.
Dalle carte dell’archivio castellese, essi risultano provenienti dal campo di Ferramonti. Allestito presso Tarsia (Cosenza), tale campo, almeno nelle intenzioni del governo italiano, doveva essere un luogo di detenzione provvisoria per gli ebrei stranieri, precedentemente sparsi in varie località del Regno e sottoposti al regime di internamento libero, in attesa del loro trasferimento in altri paesi ≪disposti a riceverli≫. In realtà, quest’ultimo passaggio non ebbe mai luogo; il numero di ebrei stranieri aumentò nel corso del conflitto e le periferie d’Italia continuarono ad accogliere, almeno fino all’autunno del 1943, molti di loro. [9]
Grazie al certosino lavoro svolto da Anna Pizzuti [10] , si evince che Ełla venne registrata a Ferramonti il 29 settembre 1940, mentre per Moszek la prima traccia risale al 15 ottobre di quello stesso anno. A inizio settembre del 1941, essi furono poi trasferiti insieme a Reggio Emilia e, di li a pochi giorni, come già rilevato, a Quattro Castella.
Qualche giorno dopo l’arrivo dei coniugi, furono alcuni cittadini castellesi a fornire alla coppia internata i mobili e le suppellettili più essenziali. Ecco dunque un elenco degli oggetti per gli ≪sfollati del campo≫, prestati da Vittorio Cantagalli il 18 settembre, con la mediazione del commissario podestarile: ≪un letto da una piazza con rete, un materazzo (sic), due cuscini di lana con federe, un lenzuolo a due piazze≫. Un altro castellese, Adriano Bertolini, completò l’arredamento aggiungendo: ≪un letto di legno con cassetto ed elastico, una tavola, sedie nr. due, un cassettone, un materasso in piuma, un cuscino di piuma, due lenzuoli grandi, due federe e due asciugamani≫. La vigilia di Natale, Moszek prese invece in carico ≪da parte del Comune≫: quattro coperte e otto lenzuola per letto a una piazza. Lui ed Ełla si impegnarono ≪a conservarli gelosamente≫.
La vita dei due coniugi ebrei a Quattro Castella venne scandita dalle disposizioni ministeriali ≪concernenti le famiglie ebree internate in questa provincia ≫, pervenute al Commissario il 21 settembre. Riporto quelle a mio avviso più rilevanti:
I) il funzionario di Pubblica sicurezza, o in sua assenza il podestà, dovrà provvedere a compilare i registri e i fascicoli degli internati;
II) a) è necessario stabilire il perimetro di circolazione degli internati;
b) senza carta di permanenza, non è consentito loro l’allontanamento; quest’ultimo è permesso dalle autorità per raggiungere le località dell’abitato, mentre per spostarsi fuori dall’abitato è necessaria l’autorizzazione dal ministero;
c) è fatto divieto di uscire prima dell’alba e di rientrare dopo l’Ave Maria;
III) saranno effettuati obbligatoriamente tre appelli al dì, in caso contrario interverrà la Questura;
IV) i pasti potranno essere consumati in pubblici esercizi o presso privati, sempre previa autorizzazione;
VI) la buona condotta è obbligatoria: i trasgressori verranno inviati nelle colonie insulari, su decisione del ministero;
IX) la spesa per i medicinali comuni per internati non abbienti è a carico del ministero, […] che dovrà anche autorizzare previamente l’accesso a medici specialisti o cure non urgenti;
X) gli interventi chirurgici potranno essere effettuati, ma solo presso l’ospedale più vicino e con necessaria ratifica del ministero;
XII) le spese di sussidio giornaliero, fitti e simili: pagati con un fondo custodito da ogni prefettura e alimentato dal ministero;
XIII) le spese di trasferimento o accompagnamento in altre località di internamento sono a carico delle prefetture di competenza.
I due internati ebrei, come apprendiamo da un’altra circolare prefettizia di giugno, non potevano portare con sé neppure ≪passaporti o documenti equipollenti o militari≫. La somma massima che essi potevano maneggiare era di cento lire; l’eccedenza doveva invece essere versata ≪in libretti nominativi in banca o presso la posta, conservati dal podestà≫. Gli eventuali titoli finanziari e gioielli dovevano essere riposti in cassette di sicurezza, ≪la cui chiave era affidata al titolare, mentre il libretto di riconoscimento all’autorità≫. Un’ennesima disposizione di luglio stabiliva ulteriori restrittive norme su ≪corrispondenza, pacchi e vaglia≫: si doveva necessariamente utilizzare carta velina, mentre erano rigidamente disciplinate
tanto la lunghezza delle lettere quanto le lingue consentite.
Il 28 dicembre 1942 fu il questore ad autorizzare Ełla, internata a Quattro Castella, ≪a recarsi in questa citta [Reggio Emilia] per farsi visitare da uno specialista di malattie della pelle e a soggiornarvi per il tempo strettamente necessario alle cure. Prego pertanto [il commissario prefettizio] di munire la sopracitata Felman di foglio di via, con obligo (sic) di presentarsi a questo ufficio che, a fine cura, provvederà a rimpatriarla costà ≫. [11]
Nell’arco della sua permanenza la coppia ricevette, come previsto, una diaria erogata dal ministero ogni due settimane: essa ammontava mediamente a duecentoventi lire complessive. I rendiconti periodici inerenti a ≪gli sfollandi di Ferramonti≫ si susseguirono regolarmente fino al luglio 1943. [12]
Le loro tracce nell’archivio castellese si interrompono bruscamente alla fine dell’estate di quell’anno. Grazie al libro della Picciotto [13] , tuttavia, possiamo ricostruire qualche frammento della loro storia nei mesi successivi. Moszek ed Ełla furono catturati dai nazifascisti a inizio novembre, per poi essere successivamente internati al campo di transito di Fossoli. Infine essi furono deportati ad Auschwitz il 22 febbraio 1944 (ma l’immatricolazione è dubbia), nel convoglio numero otto. Risultano entrambi deceduti in luogo e data ignoti.
Note
[1] Per il titolo di questo paragrafo ho scelto di utilizzare la trascrizione corretta dei loro nomi, ricavata dalle loro stesse firme
[2] ACQC: busta 347, cat. II, cl. 4, 1941
[3] Il nome della donna venne spesso storpiato dai burocrati italiani, in molti documenti: per una questione di coerenza metodologica, ho preferito pertanto riprodurre tale errore quando ho estrapolato da tali materiali il nominativo.
[4] ACQC: busta 361, cat. II, cl .4, 1943
[5] Cfr.: <http://www.nowykorczyn.com e http://www.tisharon.org/nowy-korczyn/>
[6] C.S. Capogreco, I campi del Duce. L’internamento civile nell’Italia fascista. 1940-1943, Einaudi, 2004, pp. 64-65. I numeri preventivati dal ministero l’anno precedente vennero clamorosamente smentiti nei fatti: a ottobre del 1940, gli internati complessivi erano oltre 4200, dei quali 1800 ebrei.
[7] Ringrazio il direttore della Cittadella degli archivi di Milano per la disponibilità dimostrata e l’archivista dottoressa Clara Belotti per la fattiva e preziosa collaborazione.
[8] Si veda: E. Giunipero (a cura di) , Ebrei a Shanghai. Storia dei rifugiati in fuga dal Terzo Reich, Occidente – Oriente, 2018
[9] Capogreco cit., p. 94
[10] Si veda: <http://www.annapizzuti.it/database/ricerca.php>
[11] ACQC: busta 335, cat. II, cl. 2, 1942
[12] ACQC: busta 361, cat. II, cl. 2, 1943
[13] L. Picciotto, Il libro della memoria. Gli Ebrei deportati dall’Italia (1943-1945), Mursia, 1991, ed. aggiornata, 1992, ed. Aumentata, 2002
C. Torcianti, Quattro Castella. Dalla società fascista alla società democratica. 1926-1946, in Quattro Castella ribelle : cronache della Resistenza e della guerra di liberazione. Con un saggio di Chiara Torcianti. Nuova edizione. Comune di Quattro Castella e Istoreco, 2019 (Reggio Emilia : Tecnograf), pp.79-83